Dal nonsenso al gesto: Wittgenstein e il giudizio di valore

Rivista di Estetica 65:143-154 (2017)
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Abstract

L’obiettivo di questo articolo è quello di esaminare le riflessioni dedicate da Wittgenstein al tema del giudizio di valore, al fine di rintracciare una linea di continuità tra le ricerche riguardanti i criteri per determinare la sensatezza degli enunciati – principale impegno del “primo” Wittgenstein – e la successiva filosofia dei giochi linguistici, presentata nelle Ricerche filosofiche. Secondo la teoria raffigurativa del linguaggio, così come viene formulata nel Tractatus logico-philosophicus, i giudizi di valore non rappresentano fatti del mondo e pertanto sono senza senso. In questa prospettiva, il tentativo di esprimere esperienze di “valore assoluto”, come dice Wittgenstein nella Conferenza sull’etica (1929), è condannato al nonsenso, sebbene esso dia testimonianza di una tendenza tipicamente umana ad avventarsi contro i limiti del linguaggio. Circa dieci anni dopo, nelle Lezioni di estetica (1938) Wittgenstein analizza l’uso degli aggettivi estetici nei giudizi di valore e sottolinea la prossimità di queste espressioni al gesto, inteso come un modo di trasmettere il sentimento del parlante in reazione a una specifica esperienza. Nell’espressività del nonsenso è possibile intravedere in anticipo l’importanza della nozione di uso, centrale nella “seconda” filosofia di Wittgenstein; nell’analisi degli aggettivi estetici, usati in maniera simile a gesti, rimane un collegamento con le precedenti ricerche intorno ai limiti del linguaggio. Attraverso la riflessione su nonsenso e gesto Wittgenstein sviluppa un’idea non-comunicativa ed espressiva del linguaggio che possiamo rintracciare lungo l’intero sviluppo del suo lavoro.

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