Abstract
Il prelievo della Biblioteca Palatina fu, nel 1623, ad un secolo circa dall'inizio della Riforma, l'atto non solo simbolico con cui si cercò di vulnerare alla radice la cultura protestante asportando la Biblioteca di Heidelberg, vanto dell'intellettualità riformata e stimata superiore perfino alla Vaticana. In una lettera del 14 luglio 1608 a Janus Gruter, bibliotecario della Palatina, Scaligero era molto esplicito nella comparazione tra le due biblioteche, simbolo delle rispettive confessioni: «Indicem bibliothecae vestrae legi. Locupletior est, et meliorum librorum quam Vaticana» (Lib. VI, Ep. 434). La concreta operazione di prelievo e trasporto dei libri fino a Roma, via Monaco, affidata a Leone Allacci, andò incontro ad una serie di difficoltà, a cominciare dalla imprevista totale indisponibilità di mezzi di trasporto: i «carri» di cui ampiamente si parla nel documento che qui di seguito pubblichiamo. Che fosse così arduo reperirli, ovvero trovare qualcuno che li mettesse a disposizione, era in realtà solo un aspetto - e certo non irrilevante - della più generale ostilità che circondò l'operazione. Ostilità che Allacci stesso bene avverte («Quando passo [per le strade] - scrive - li sento sospirare e dolere intrinsecamente, se bene all'esteriore bisogna che stiano savij»), e che sarà sedata solo dal deciso intervento del conte di Tilly (su di lui ved. oltre), intervenuto direttamente a Heidelberg il 14 gennaio 1623, al fine appunto di sbloccare la situazione. Ma veniamo al documento ed alla sua esemplare vicenda.